commentiAMO LE GATTOPARDE
Spettacolo visto al Teatro Mario Del Monaco di Treviso domenica 15 luglio 2022 – GEA.22
Recensione di Greta Nola, unə* dellə allievə di commentiAMO
“Se vogliamo che tutto resti com’è
bisogna che tutto cambi”
Sotto un lampadario di cristallo c’è un grande specchio rovinato ed impolverato, per metà in frantumi che riflettono la luce sul soffitto con ombre dalle forme acquatiche e cristalline: è la fine di un’epoca, una rivoluzione che non si combatte ma si danza a girotondo senza mai fermarsi. Questa è l’Unità d’Italia raccontata dalle Nina’s Drag Queens, una compagnia teatrale nata nel 2007 che in ogni suo spettacolo unisce la femminilità gioiosa ed esuberante della drag-performance con testi di forte impatto drammatico (si vedano altri spettacoli come “Queen Lear” o “Il giardino delle ciliegie”). Si crea quindi un miscuglio tra il classico e il dissacrante: la drag è una maschera contemporanea inusuale sui palchi teatrali (anche se viene recuperata l’antica usanza del travestitismo, quando ancora le donne non potevano recitare) impiegando qui un linguaggio moderno e sfavillante, fatto di canzoni disco e balli, tutto per smontare e trasformare un classico, riproponendolo in una chiave di lettura nuova e molto più colorata.
Questa rappresentazione infatti differisce molto dal famoso “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ma il famoso libro viene comunque narrato come opera in corso di svolgimento attraverso un espediente meta-letterario: un’anziana autrice apre le danze e scrive di ciò che vede e ciò che immagina, vive assieme ai suoi personaggi, li osserva e ci parla; al contempo essi si raccontano, andando a creare un pastiche all’interno di una macrostoria risorgimentale.
Ogni personaggio anche quelli storicamente maschili (soldati, rivoluzionari, condottieri, politici, registi) diviene una drag pronta a scatenarsi, persino l’Italia si fa donna e ognuna in questa strana festa vive un’esperienza rivoluzionante: l’autrice tenta di trovare ispirazione per il suo romanzo e al contempo di salvaguardarlo dalle commerciali politiche di mercato editoriale; una ragazza, diva in erba, tenta di farsi strada nel mondo altolocato e altre due lottano per far valere i reciproci sentimenti. Tutto mentre fuori scoppia la rivoluzione, guidata da una versione di Garibaldi molto particolare, ovvero un omaggio a Raffaella Carrà che, partita da Trieste con il suo esercito di mille lucciole, combatte mostrando l’ombelico. Sia l’eroe che la cantante sono stati ai loro tempi dei rivoluzionari e delle celebrità ammirate da tutti, pronti ad avanzare per lottare e mai piegarsi.
E così la storia prosegue e appaiono i corpi di performers che danzano in vestiti sgargianti, colorati e fluttuanti, accompagnati da battute di gioiosa e sofisticatamente femminile ironia, il tutto condito con musiche e citazioni pronte a rapire ogni nostalgico degli anni passati e dei capolavori del cinema del ‘900: un vero e proprio contenitore di riferimenti carico ed esuberante, quasi barocco.
La festa diviene una giostra che confonde, un vortice che ti afferra tagliandoti fuori dalla realtà, al punto che la storia non è altro che un grande valzer che rende le persone intontite e ignare del caos che fuori dilaga, una tendenza tipicamente italiana quella del rimuovere dalla memoria fatti importanti e così non riuscire a progredire. Tendenza tipicamente italiana quella di rimuovere dalla memoria storica fatti che meriterebbero una sincera presa di coscienza collettiva, affinché i crimini passati e mai ufficialmente processati non si ripropongano in nuove forme (ne è una dimostrazione il fenomeno Casapound o forza Nuova, partito attualmente legittimato al parlamento). L’Italia non ha mai imparato a lasciar andare il passato e ad usarlo come insegnamento per poter smuovere qualcosa e avanzare verso un futuro politico e sociale più maturo, politici e cittadini prima di tutto sembrano essere caduti in uno stato d’inerzia che non invoglia a cambiare la situazione attuale; ecco che quindi come nello spettacolo gli italiani ballano e dimenticano cosa fare e dove procedere.
Tutta questa giostra cosa porta? Ti travolge, ti cambia, ti rivoluziona e infine ti uccide. Qui subentra il lato più oscuro della storia, mascherato di abiti eleganti e pose da passerella: si canta e si balla in mezzo agli spari, ai bombardamenti e ai cadaveri, dai quali in seguito nascerà l’Italia – l’origine nel sangue del patriota. Non mancano poi i tradimenti e il sentimento di amarezza e delusione derivato dalle promesse infrante e dai cambiamenti politici: il rosso di Raffaella scompare, a presagire l’ingresso di una nuova politica che ha più a cuore il potere rispetto al cambiamento. “C’è futuro dopo il futuro?” si chiedono le Gattoparde. E nell’eco di queste parole a noi pubblico arriva un sentimento di amarezza, come quando, sopraffatti dalla delusione, si perde di vista il da
farsi. Si immagina il futuro che ci attendeva, ma questo ormai è un tempo perduto, è inutile ragionare sul crollo. Bisogna pensare a costruire qualcos’altro, qualcosa di nuovo. “Le Gattoparde” è un lavoro collettivo, in cui la drammaturgia è frutto di una creazione di gruppo, cosa inusuale nel mondo drag, dove di norma ognuna si esibisce in solitaria; ma questo spettacolo (e in generale la produzione delle Nina’s) è una eccezione alla regola, o meglio l’imposizione di una nuova regola teatrale. La regia è firmata da Ulisse Romanò, in arte Demetra, che riesce a gestire un gruppo ben coeso di attori/attrici che, in un frenetico e danzante via vai, dimostrano grande abilità nel passare da un personaggio all’altro, tante donne sì frenetiche e vivaci ma ognuna con le sue caratteristiche e un modo personale di scatenarsi.
In tutto questo marasma di euforia ed eccesso emergono anche piccoli momenti di leggera malinconia e amore: d’altronde è impossibile affrontare questa festosa e catartica immensità che è la Storia senza perdersi in un valzer infinito, che ci faccia dimenticare i nostri veri obiettivi, persi in mille sogni ad occhi aperti, anche se un po’ accecati dalle luci della disco.
“La storia è un posto troppo grande per viverci da soli”
Di qualche vero alleato al nostro fianco c’è sempre bisogno se si vuole uscire vivi da tutto e cambiare il mondo intero – o almeno il proprio piccolo mondo.
E alla fine di tutto, quando ogni cosa è cambiata, quando ognuno ha tentato la sua piccola rivoluzione personale e la musica è finita (citiamola, Ornella Vanoni!), si rimane seminudi, nessuna veste colorata, niente di sgargiante, niente parrucca, solo la fine di un mondo e l’inizio di un altro sui vetri infranti del passato.
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La piccola “e” rovesciata “ə” che incontrerete in questo sito si chiama “schwa”. Rappresenta il nostro tentativo di usare un linguaggio che non discrimini per genere, maschile e femminile, per favorire la costruzione di un clima di convivenza delle differenze. Una piccola proposta che permetta di parlare a tutte e tutti, cioè a tuttə, senza escludere nessunə.
commentiAMO “IL CANTO DELLA CADUTA”
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